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martedì 30 agosto 2016

Pillole di romanzo


Quando arrivavo lei si metteva automaticamente il dito indice sulla bocca per ricordarmi di fare piano, senza accorgersi che ero agile e silenziosa come un gatto. La sua camera era piccola, ma accogliente, sempre pulita e ordinata e aveva un profumo di agrumi che mi piaceva tanto e che mi era entrato nell’anima. Più tardi scoprii che conservava delle striscioline di buccia d’arancia dentro dei sacchetti di cotone che usava per profumare l’ambiente, ma anche come repellente contro mosche e zanzare che popolavano la città d’estate. La sua brandina era appoggiata al muro, nella parte più scura della stanza, davanti al piccolo armadio per il suo misero guardaroba. La scrivania invece era stata sapientemente spostata sotto la finestra per avere più luce. Al posto del comodino aveva un baule di legno chiuso a chiave. Sopra ci teneva la bibbia e altri libri accatastati uno sopra l’altro a formare una torre pendente, il candelabro di bronzo e una foto di famiglia in una cornice bianca. Era una bella foto, lei era una ragazzina vestita a festa, chissà per quale occasione. Avevo provato a chiederlo una sera, ma lei aveva cambiato argomento. 
 
La lampada della piccola stanza diffondeva una luce flebile e io amavo accendere una candela prima di sdraiarmi sul suo letto. Mi ricordo che mi divertivo a sfregare nella fuga delle mattonelle la capocchia dei fiammiferi di legno che lei teneva sul baule e ogni volta venivo rimproverata perché ne sprecavo troppi e perché l’odore di zolfo si diffondeva nella camera. I suoi rimproveri erano belli, li adoravo, lei corrugava la fronte e faceva la voce grossa, ma dai suoi occhi si capiva l’affetto che provava per me e ogni rimprovero era come se mi avesse detto “ti voglio bene”. Mi divertivo a farle dei piccoli dispetti proprio per vedere quella luce brillante nei suoi occhi.

<<Che storia vuoi che ti racconti?>> mi chiedeva.

<<I tre capelli d’oro del diavolo! I tre capelli d’oro del diavolo!>> fremevo elettrizzata.

<<Ma quella storia è lunghissima>> provava a protestare, consapevole che non avrebbe avuto successo di fronte alla mia risolutezza di bambina testarda.

<<Ti prego!>> la imploravo. 
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